Ciao ragazzi,
Stavo pensando alla differenza che corre tra piacere ed istinto: come sono legati, se sono legati, con che meccanismi, come funzionano, che rischio si nasconde nella nostra epoca a confondere i due elementi. Io accomuno banalmente l’istinto alla parte primordiale del nostro essere, basilare chiamiamola, anche se di basilare ha poco, ma giusto per intenderci. L’istino comprende tutti gli aspetti della vita umana, dai deisderi terreni alle necessità o impronte spirituali. L’istino ha anche un importante valenza di guida nella nostra vita. E’ una piccola bussola interiore che determina parte delle nostre scelte. Pensate a quanto, malgrado tutto, l’istino conti nella scelta di un partner. E’ una percezione della nostra natura, del nostro Dna, è un collegamento tra il Dna e il cervello, tra la teoria e la pratica. Il piacere è anch’esso sia materiale che spirituale, ci sono varie tipologie di piacere che cerchiamo di soddisfare continuamente, la nostra vita è la continua ricerca di una felicità stabile, o di un piacere stabile? La felicità in fondo la percepiamo tramite il piacere, senza questo “stare bene” non sapremmo di essere felici. Questo sentimento dovrebbe avere come stella polare l’istinto, così facendo l’individuo lentamente potrebbe raggiungere la sua felicità privata unica e a sé stante. Forse il Peccato non è nient’altro che far virare questa immensa potenza verso obiettivi errati, lontani dal proprio essere. La religione cerca di codificare i piaceri dividendoli tra buoni e cattivi, tra piaceri di serie A e di serie B. Uno dei difetti naturali delle grandi religioni, stà nella massificazione dell’essere umano, ma il piacere non può essere massificato, è personale e fugge ad ogni tentativo di regolarlo (=ragione). Il piacere può però essere sicuramente manovrato, la Religione ci prova e io, guardando a Noi, all’oggi ci aggiungo la Pubblicità. La religione gioca una partita onesta tutto sommato, ci dice cos’è piacere e cosa non lo è in maniera chiara, cerca di razionalizzare un sentimento che deve essere razionalizzato per dare una forma al signolo e quindi alla società, che senza questo tassello non potrebbe esistere (anarchia=ricerca del piacere di oguno senza badare a quello degli altri). La pubblicità invece è subdola, cerca di scalzare silenziosamente il piacere istintivo, sostituendolo con un doppione, fino a che quest’ultimo ne diventi il principale. La miglior pubblicità crea un bisogno, quindi un bisogno di piacere dove esso non c’è naturalmente. Parlo per me facendo un esempio: a volte a furia di vedere una pubblicità di auto, sento la necessità, l’istinto di acquistarla, come se fosse mio, reale, vero, primordiale. Cosa che chiaramente non è. La pubblicità ha creato in parte i capisaldi simbolici di un buon cittadino: la casa, una bella auto, la staccionata bianca e il vialetto pulito e se proprio non li ha creati li alimenta e ne aggiunge di nuovi che sua volta alimentano falsi miti (ultimo modello di telefonino, elletrodomestico, occhiali da sole alla moda, vestiti alla moda, la moda in generale ecc. ecc.). Non sono sicuro quante persone possano dire che i piaceri che ricercano nella loro vita siano essenzialmente suoi. Siamo bombardati da riassunti di ciò che il nostro piacere dev’essere, per essere il migliore. L’uomo moderno insegue di continuo una nuvoa (seppur sostanzialmente identica) piramide di valori del piacere. Una guerra, una competizione a chi raggiunge prima e meglio il miglior piacere oggettivo e invidiabile dagli altri. Questo è un suicidio di massa, una rincorsa verso l’ignoto, inteso non solo come sconosciuto ma anche come nulla pneumatico. Per questo sotengo (e non solo per questo) che l’uomo vive in un mondo non umano seppur creato solo e unicamente dalle sue stesse mani e ci si invischia ad ogni nuova generazione di più, abbagliato erronemaente da cosa siamo e da cosa una vita deve essere per avere un senso. La ricerca del piacere quindi determina non solo l’attimo ma anche la parabola di un’esistenza e di una società. I pubblicitari studiano e fanno scientificamente leva su tutta la gamma emotiva dell’essere umano (inconscio compreso) per creare questa continua ambiguità, per creare gli spazi emotivi necessari ad insinuarsi, Quindi quando uno mi dice che se scrivo un libro, lo devo anche vendere, vado in difficoltà; vorrei che il libro si vendesse per la sua qualità che crea la conseguente necessità/bisogno e non per giochi di prestigio che non condivido. Così va il mondo, dicono, morirò sconosciuto e solo perchò ho scelto, o cerco di scegliere ogni giorno (è una guerra giornaliera) con fortune alterne ciò che sono e quini anche i piaceri che mi determinano. Sono anarchico? Non credo, se è vero l’inconscio collettivo di Jung, l’anarchia dei piaceri è comunque guidata da un unico fine globale e temporale. E comunque anche se la teoria di Jung non fosse vera, non sono anarchico, perchè cerco di rispettare i piaceri altrui, non sono libero, perchè cerco di far si che un mio piacere non crei un danno ad altri. Questa forse è umanità, quella cosa che ci stiamo dimenticando tutti (io compreso) una cosa che ogni prodotto che compro cerca di farmi dimenticare. Ma rispettare gli altri mi dà piacere, si chiama Pietas che in ogni sua forma o religione è la più grande invenzione (secondo me istintiva e prettamente umana) dell’uomo. Uno scalino che ci ha questo si, diviso dalla bestie (Nietzsche non sarebbe per nulla d’accordo).
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